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      Di tanto in tanto posso dargli da fare qualche cosetta... che per lui rappresenta molto. Già, già!
      Mi fece molta impressione la maniera disinvolta e soddisfatta con cui il signor Waterbrook di tanto in tanto pronunziava quella paroletta «già». V’era in essa una meravigliosa espressione. Dava l’idea d’un uomo che fosse nato non con un cucchiaio d’argento in bocca, come si dice, ma con una macchina da scalare le fortezze in mano, e che avesse percorso tutti gli scalini della vita l’uno dopo l’altro, per guardare ora dalla vetta delle fortificazioni, dov’era giunto, le persone giù nei fossi, con l’occhio del filosofo e del protettore.
      Riflettevo ancora a questo, quando fu annunciato il pranzo. Il signor Waterbrook offrì il braccio alla zia d’Amleto. Il signor Spiker prese la signora Waterbrook. Agnese, alla quale avrei dato volentieri il braccio io, toccò a un signore dalle gambe deboli che sorrideva sempre. Uriah, Traddles e io, come i più giovani della brigata, discendemmo gli ultimi, senza formar coppia. Non mi dispiacque poi tanto l’aver perduto Agnese, perché ebbi l’occasione, sulla scalinata, di farmi riconoscere da Traddles, che mi salutò con gran fervore, mentre Uriah si contorceva con una modestia e una soddisfazione così importune, che lo avrei fatto saltare oltre la ringhiera.
      Traddles e io a tavola fummo separati, perché i nostri due biglietti erano stati messi in due angoli opposti: lui nel fuoco d’una signora in velluto rosso; io nelle tenebre della zia d’Amleto. Il desinare fu lunghissimo; e la conversazione volse intorno all’Aristocrazia – e al Sangue.


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David Copperfield
di Charles Dickens
pagine 1261

   





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