– Volete venire?
– Ci verrei volentierissimo – rispose Uriah con una contorsione.
– Ebbene, allora, andiamo! – dissi.
Non potevo fare a meno dal mostrarmigli piuttosto brusco, ma pareva che non se n’accorgesse. Andammo per la via più breve, senza spender molte parole per strada; ed egli era così modesto di fronte a quei suoi spauracchi di guanti, che ancora se li stava ficcando, e pareva non avesse fatto alcun progresso in quell’operazione, quando arrivammo a casa.
Lo guidai per la scala buia, per evitare che andasse a picchiar la testa in qualche parte, e la sua mano umida nella mia mi faceva in verità l’effetto d’una rana, tanto che ero tentato di lasciarla e fuggire. Il pensiero d’Agnese e il sentimento d’ospitalità prevalsero, però, e lo condussi innanzi al mio focolare. Quando accesi le candele, egli cadde in tali dolci trasporti d’ammirazione per la stanza che gli veniva rivelata; e quando mi misi a scaldare il caffè in un modesto recipiente di latta nel quale usava sempre di prepararlo la signora Crupp (principalmente, credo, perché non era destinato a quello scopo, ma a scaldar l’acqua della barba, e perché v’era una macchinetta di molto prezzo che stava a muffire in cucina) egli si mostrò tanto commosso, che gli avrei lietamente versato addosso il liquido bollente.
– Oh veramente, signorino Copperfield... voglio dire signor Copperfield – disse Uriah – non mi sarei mai aspettato di vedermi servir da voi. Ma si succedono, in un modo o nell’altro, tante cose che non mi sarei mai aspettate, ne son certo, nella mia condizione modesta, che mi sembra mi piovano continuamente benedizioni in testa.
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