– Del signor Wickfield – suggerii.
– Ah, sì, veramente! – disse Uriah. – Una grande imprudenza, sì, signor Copperfield. È un soggetto del quale, tranne ché a voi, non farei cenno ad anima viva. E anche a voi, non posso che accennarlo, e niente altro. Se qualche altro fosse stato al mio posto in queste ultime settimane, a quest’ora avrebbe avuto il signor Wickfield (pure che brava persona ch’egli è!) sotto il dito pollice... sot... to... il... di… to pol... lice – disse Uriah, scandendo le sillabe, stendendo la mano crudele sulla tavola, e premendovi il pollice, da farla tremare, e far tremare la stanza.
Se fossi stato costretto a vederlo col tallone puntato sulla testa del signor Wickfield, difficilmente l’avrei potuto odiare di più.
– Oh, sì, signorino Copperfield – continuò con una voce melliflua in assoluto contrasto con l’atto del pollice, la cui dura pressione non si allentava minimamente – non c’è dubbio di sorta! Sarebbe stata la sua rovina, il suo disonore, non so che altro. Il signor Wickfield lo sa. Io son l’umile strumento destinato a servirlo modestamente, ed egli mi solleva a un’altezza che appena avrei potuto mai sperare di raggiungere. Quanta gratitudine debbo avergli! – Col viso rivolto a me, mentre finiva, ma senza guardarmi, sollevò il pollice adunco dal punto dove l’aveva piantato, e lentamente e pensosamente si grattò la guancia scarna, come se si stesse radendo.
Ricordo di quanta indignazione mi ribolliva il sangue, mentre vedevo nel suo viso scaltro, opportunamente illuminato dalla luce rossa del fuoco, l’annuncio di nuove rivelazioni.
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