– Signorino Copperfield – egli cominciò – forse vi faccio far tardi?
– Voi non mi fate far tardi. Io vado a letto sempre molto tardi.
– Grazie, signorino Copperfield. Mi son sollevato dalla mia modesta condizione da quando voi mi conosceste la prima volta, è vero; ma sono modesto ancora. Spero d’esser sempre modesto. Non penserete male di me, se vi faccio qualche piccola confidenza, signor Copperfield, non è vero?
– Oh, no! – dissi, con uno sforzo.
– Grazie! – Si tolse il fazzoletto di tasca, e cominciò ad asciugarsi le palme delle mani. – La signorina Agnese, signorino Copperfield...
– Bene, Uriah?
– Oh, come mi piace esser chiamato Uriah, spontaneamente! – egli esclamò; e diede un balzo, come un pesce in convulsione. – Ve parsa molto bella stasera, signorino Copperfield?
– M’è parsa come sempre: superiore, sotto tutti gli aspetti, a quanti le erano intorno – risposi.
– Oh, grazie! Proprio così! – esclamò. – Ve ne ringrazio tanto.
– Perché? – dissi, altero; – Non veggo ragione alcuna perché dobbiate ringraziarmi.
– Perché in questo, signorino Copperfield – disse Uriah – consiste la confidenza che mi prenderò la libertà di farvi. Modesto come sono – si asciugava più forte le mani, e se le guardava, ora l’una, ora l’altra, al fuoco – modesta com’è mia madre, e umile come la nostra povera e modesta casa è stata sempre, l’immagine della signorina Agnese (non mi perito di confidarvi il mio segreto, signorino Copperfield, perché ho sempre avuto simpatia per voi, dal primo momento ch’ebbi il piacere di vedervi nel carrozzino) è fissata nel cuor mio da anni.
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