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      Naturalmente gli dissi che ero dispostissimo a dargli questo piacere. Fu stabilito che m’avrebbe condotto e ricondotto indietro lui nella sua vettura.
      Arrivato quel giorno, perfino la mia valigetta era diventata un oggetto di venerazione fra gli impiegati, per i quali la casa di Norwood era un mistero sacro. Uno di essi mi informò d’aver saputo che il signor Spenlow mangiava esclusivamente in piatti d’argento e porcellana finissima; e un altro accennò che usava sciampagna a tutto pasto, come gli altri la birra. Il vecchio impiegato in parrucca, signor Tiffey, s’era recato laggiù per affari parecchie volte nel corso della sua carriera, e in tutte quelle occasioni era penetrato fin nella sala da pranzo. Egli la descriveva come una meraviglia di sontuosità, dicendo di avervi bevuto certo vino delle Indie Orientali che faceva chiuder gli occhi per la delizia.
      Avevamo quel giorno nel Concistoro una causa che aveva già subito un rinvio. Si trattava di far condannare un fornaio che s’era ostinato a non pagare alla parrocchia certa tassa stradale. Siccome l’incartamento era il doppio preciso di Robinson Crusoe, secondo il calcolo che ne feci, alla chiusura era già abbastanza tardi nella giornata. A ogni modo, lo facemmo scomunicare per sei settimane, e condannare a infinite spese; e poi il procuratore del fornaio, e il giudice, e gli avvocati di entrambe le parti (che erano tutti parenti prossimi) partirono insieme per la campagna, e io e il signor Spenlow salimmo nella vettura.
      La vettura era elegantissima: i cavalli inarcavano i colli e sollevavano le gambe, come se sapessero di appartenere al Doctor’s Commons.


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David Copperfield
di Charles Dickens
pagine 1261

   





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