C’era allora una viva gara nel Commons per ogni genere di sfoggio mondano, e si potevan vedere molti equipaggi sontuosi. Pur nondimeno ho sempre creduto, e sempre crederò ché al tempo mio l’oggetto intorno a cui la gara si manteneva più attiva fosse l’amido che s’usava fra i procuratori in quantità strabocchevole, fino all’estrema capacità della natura umana.
Il nostro viaggetto fu piacevolissimo, e il signor Spenlow nel frattempo mi diede qualche informazione sulla mia professione. Disse che era la più nobile professione del mondo, e non doveva per nulla affatto confondersi con quella dell’avvocato; perché era diversa, infinitamente più eletta, meno volgare, e più lucrosa. Noi trattavamo le cose nel Commons, egli osservò, con maggior agio di quanto si potesse fare altrove, cosa che ci metteva, come classe privilegiata, a parte. Aggiunse ch’era impossibile nascondere la spiacevole circostanza, che eravamo principalmente impiegati dagli avvocati; ma mi fece comprendere che essi erano d’una razza inferiore, universalmente disprezzati da tutti i procuratori di un certo merito.
Domandai al signor Spenlow quale, secondo lui, fosse la migliore specie di affari professionali. Mi disse che il migliore di tutti, forse, era il caso d’un testamento contestato, che comprendesse un fondo di trenta o quarantamila sterline. Allora – egli diceva – non solo vi erano da fare delle belle raccolte di emolumenti a traverso montagne e montagne di testimonianze negli interrogatori e nei controinterrogatori (per non dir nulla degli appelli che si potevano promuovere prima innanzi alla Corte dei delegati e poi alla Camera dei Pari); ma, per la certezza che le spese sarebbero infine uscite dalla proprietà in contestazione, si andava da entrambe le parti allegramente avanti senza badare a denaro.
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