Avevo ascoltato tutta questa tiritera con molta attenzione, e benché, debbo dire, avessi i miei dubbi sul gran debito del paese verso il Commons, accettai rispettosamente quella opinione. Quanto alla faccenda dello staio di grano, modestamente comprendevo ch’era superiore alla mia capacità, ma che, a ogni modo, metteva a posto ogni cosa. Non ho potuto ancora rimettermi, finora, dall’effetto di quello staio di grano. Esso è ricomparso, in tutto il corso della mia vita, in relazione con tutte le specie di soggetti, sempre per annientarmi. Non so ora. esattamente, che abbia da fare con me, o che diritto abbia di schiacciarmi in una infinita varietà di occasioni; ma tutte le volte che veggo quel vecchio staio ritto su una testa o su due spalle (come è sempre portato, credo), ritengo che la mia causa sia senz’altro bell’e spacciata.
Ma questa è una divagazione. Non ero io l’uomo da toccare il Commons, e far crollare il paese. Col mio silenzio, espressi sommessamente la mia accettazione di tutto ciò che avevo appreso dal mio superiore d’anni e di dottrina; e poi parlammo del dramma «Lo Straniero», e della pariglia della vettura, finché si arrivò innanzi al cancello del signor Spenlow.
V’era un bel giardino intorno alla casa del signor Spenlow; e benché quella non fosse la stagione adatta per vedere un giardino, era così ben tenuto, che rimasi addirittura incantato. Vi era un bel prato, v’erano gruppi d’alberi, e dei lunghi viali arcuati, appena visibili al buio, che s’allontanavano a perdita d’occhio, e a primavera si riempivano di arbusti e di fiori.
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