Ma era una delusione tutti i giorni, perché d’invito non si parlava neanche.
La signora Crupp doveva essere una donna di grande penetrazione; perché quando la mia passione non aveva che l’età di poche settimane, e non ancora avevo avuto il coraggio di scrivere ad Agnese più chiaramente di così: che ero stato in casa del signor Spenlow, «la cui famiglia, aggiungevo, è composta d’un’unica figlia» – la signora Crupp, anche in quel primo periodo, la scoprì. Venne su una sera, che ero molto melanconico, per chiedermi se potevo farle il piacere (afflitta com’era dal male già menzionato) di darle un po’ di tintura di cardamomo mischiata col rabarbaro e profumata con sette gocce di essenza di garofano, che era il miglior rimedio contro il suo male – o, se non l’avessi, un po’ d’acquavite che era il miglior succedaneo di quella miscela. Non la gradiva molto, essa notò, ma non c’era altro di meglio dopo la tintura. Siccome non avevo mai sentito parlare del primo medicamento, e avevo sempre una bottiglia dell’altro nell’armadio, diedi alla signora Crupp un bicchiere dell’altro; ed ella cominciò (per allontanare il sospetto che potesse usarlo diversamente) a berselo seduta stante.
– Allegramente, signore – disse la signora Crupp. – Non mi regge il cuore di vedervi così, signore; sono madre anch’io.
Non compresi affatto l’applicazione di simile circostanza a me, ma sorrisi alla signora Crupp con tutta l’affabilità di cui ero capace.
– Su, signore – disse la signora Crupp. – So di che si tratta.
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