Credo che le estremità debbano essere lasciate tranquille, se si vuol che lo stomaco lavori con energia.
In occasione di quel trattenimento domestico, non ripetei i grandi preparativi dell’altra volta. Mi procurai semplicemente un paio di sogliole, un piccolo cosciotto di castrato, e un pasticcio di piccione. La signora Crupp si ribellò al primo timido accenno che le feci di cucinarmi il pesce e il castrato, e disse, con un profondo sentimento di dignità ferita: «No!, no, signore! Voi non mi chiederete una cosa simile. Mi conoscete troppo bene, per suppormi capace di fare ciò che profondamente mi ripugna». Ma alla fine si venne a patti; e la signora Crupp acconsentì di assumersi l’impresa, a condizione che dopo, per una quindicina di giorni, fossi andato a mangiare fuori di casa.
E qui posso osservare che ciò che soffrivo da parte della signora Crupp, in conseguenza della tirannia che ella esercitava su di me, era in realtà terribile. Di nessun’altra persona io ebbi mai tanta paura. Si veniva a patti su tutto. Se esitavo, ella era assalita da quel magico male che stava in agguato nel suo sistema organico, pronto a minarle in pochi istanti la vita. Se sonavo con impazienza il campanello, dopo una mezza dozzina di timidi inutili accenni, ed ella finalmente appariva – cosa, d’altra parte, sulla quale non si poteva contare – si presentava come l’immagine del rimprovero, lasciandosi cadere senza fiato su una sedia accanto alla porta; si metteva la mano sul seno di cotone giallo, e si sentiva così male, che io ero lieto, con qualunque sacrificio d’acquavite o di checché si fosse, di liberarmi di lei.
| |
Crupp Crupp Crupp
|