La signora Micawber s’era messa i guanti marrone, assumendo un’aria di nobile languore. Traddles si ficcò le mani unte nei capelli, che erano irti come aculei, e guardava confuso la tovaglia. Quanto a me, avevo l’aria sciocca d’un ragazzo messo a capotavola; e m’arrischiavo appena di dare uno sguardo al fenomeno di rispettabilità, che era venuto da chi sa dove a mettermi l’ordine in casa.
Frattanto egli pigliava il castrato dalla graticola, e gravemente lo serviva in giro. Tutti ne prendemmo un poco, ma la voglia di mangiarlo se n’era andata, e non lo toccammo che per convenienza. Siccome a uno a uno respingemmo i piatti, egli li tolse in silenzio, e ci servì il formaggio. Tolse anche il formaggio, quando questo ebbe fatto il giro; sparecchiò; ammucchiò ogni cosa sulla credenzina: ci diede i bicchieri; e di sua iniziativa spinse la credenzina nella cucina. Tutto egli eseguì in maniera irreprensibile, non levando mai gli occhi da ciò che l’occupava. E coi gomiti, quando mi voltava le spalle, sembrava ripetere la sua incrollabile opinione, che io fossi molto giovine.
– Debbo far null’altro, signore?
Lo ringraziai e gli dissi «No»; e gli domandai se lui non volesse mangiare.
– No, grazie, signore.
– Il signor Steerforth arriva da Oxford?
– Scusate, signore?
– Dico se il signor Steerforth arriva da Oxford.
– Credo che potrà essere qui domani, signore. Pensavo, anzi, che potesse essere arrivato qui oggi, signore. Senza dubbio, l’errore è mio.
– Se doveste vederlo prima... – dissi.
– Scusatemi, signore, ma non credo che lo vedrò prima.
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