Traddles mi ringraziò, e discese. Ma temei, a ragione, osservando la sua maniera gioviale di portare il cappello in mano e di dare il braccio alla signora Micawber, che Traddles sarebbe stato portato, legato mani e piedi, agli affaristi della City.
Tornai al mio focolare, e stavo pensando, un po’ grave e un po’ divertito, al carattere del signor Micawber e alle antiche nostre relazioni, quando sentii un rapido passo salir per le scale. In principio credetti che fosse Traddles che tornasse a pigliar qualche oggetto dimenticato dalla signora Micawber; ma come il passo s’avvicinava, lo riconobbi, e sentii il cuore martellarmi forte, e il sangue salirmi alla faccia, perché era quello di Steerforth.
Non avevo dimenticato mai Agnese, la cui immagine era sempre nel santuario dei miei pensieri – se posso chiamarlo così – dove l’avevo messa fin da principio. Ma quand’egli entrò e mi stette innanzi con la mano stesa, la tenebra ch’era caduta su di lui si cambiò in luce, e mi sentii confuso e vergognoso d’aver dubitato di uno a cui volevo bene con tanta cordialità. Non volevo meno bene a lei, e la pensavo sempre come l’angelo dolce e pio della mia vita; rimproveravo non lei, ma me stesso, per avergli fatto torto; e avrei fatto non so che cosa per ripararlo.
– Ebbene, Margheritina, caro amico, sei stordito! – esclamò Steerforth, ridendo, stringendomi calorosamente la mano, allontanandomela allegramente. – T’ho sorpreso in un altro festino, sibarita! Mi sembra che gli studenti del Doctor’s Commons se la spassino di bene in meglio, lasciando egoisticamente a far penitenza la sobria gioventù d’Oxford!
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