È uno degli svantaggi del nostro mestiere. Quando qualcuno è malato, noi non possiamo domandare come sta.
Non avevo pensato a quella difficoltà; ma pure entrando avevo avuto il timore di sentire l’antico ritmo. Giacché Omer m’accennava a quella difficoltà, approvai la sua delicatezza e glielo dissi.
– Sì, sì, voi mi capite – disse Omer, scotendo il capo. – Noi non ne abbiamo il coraggio. Capite, sarebbe un colpo dal quale la maggior parte dei malati non potrebbero riaversi, dire: «Omer e Joram vi mandano i loro saluti, e desiderano sapere come state questa mattina» o «questa sera», secondo i casi.
Scambiai con Omer un cenno del capo, e Omer riprese lena con l’aiuto della pipa.
– È una delle cose che vietano alle persone del nostro mestiere di mostrarsi gentili come sarebbe nei loro desideri. Vedete me, per esempio. Ho conosciuto Barkis un anno fa, ma nel modo che lo salutavo quando passava di qui, si sarebbe detto che lo conoscessi da quaranta. Pure non posso andare a dirgli: «Come state?».
Era crudele per Omer, e glielo dissi.
– Io non sono più interessato, credo, d’un altro – disse Omer. – Vedete me. Il fiato può mancarmi in qualunque momento, e non è probabile, per quanto io mi sappia, che, in simili condizioni, io possa essere interessato. Dico non è probabile in un uomo che sa che il suo fiato se n’andrà, quando se n’andrà, come se si spaccasse un mantice; in un uomo che è nonno per giunta.
Dissi: «Lo so bene».
– Non che mi dolga del mio mestiere – disse Omer: – non è questo. C’è un po’ di bene e un po’ di male, senza dubbio, in tutte le professioni.
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