Il tempo e il mondo gli sfuggivano; ma il baule era lì, e l’ultime parole ch’egli aveva pronunziato (a mo’ di spiegazione) erano state: «Panni vecchi!»
– Barkis, caro! – disse Peggotty, d’un tono che cercava di far apparire allegro, chinandosi su di lui, mentre il fratello e io rimanevamo a piè del letto. – Vedi il mio caro ragazzo... il mio caro ragazzo, il signorino Davy, che ci fece sposare, Barkis. Tu mi scrivevi, per mezzo suo, sai! Non dici nulla al signorino Davy?
Egli era muto e insensibile come il baule, dal quale il suo aspetto derivava la sola espressione che avesse.
– Se ne va con la marea – mi disse il pescatore Peggotty, dietro la mano.
I miei occhi erano umidi, come anche quelli di Peggotty; ma io ripetei con un bisbiglio:
– Con la marea?
– Non si può morir sulla spiaggia – disse il pescatore Peggotty – che a marea bassa. Non si può nascere, se non a marea crescente... non si può nascere veramente che in piena marea. Egli se ne va con la marea. Essa sarà bassa alle tre e mezzo, e non risalirà che dopo una mezz’ora. Se vive finché l’acqua ricomincia a salire, durerà fino alla piena marea, e se n’andrà alla prossima marea bassa.
Rimanemmo così a guardarlo, a lungo – per ore. Non so dire quale misterioso effetto la mia presenza avesse su di lui in quello stato dei suoi sensi; ma quando finalmente cominciò a vaneggiare e a mormorare qualche parola, è certo che mormorava di volermi condurre al convitto.
– Riacquista i sensi – disse Peggotty.
Il pescatore Peggotty mi toccò, e bisbigliò con molta riverenza e timore:
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