Il pescatore Peggotty si fermò per attenderci; noi lo raggiungemmo, e non pronunziammo più sillaba. Ma la memoria di quelle parole e del mio primo pensiero mi si ravvivò di tanto in tanto sin che, nel tempo designato, non giunse la catastrofe inesorabile.
Ci avvicinammo pian piano al vecchio battello, ed entrammo. La signora Gummidge, non più raccolta a gemere nel suo solito angolo, era occupata a preparare la colazione. Tolse di mano al pescatore Peggotty il cappello, gli trasse innanzi la sedia, e gli parlò con tanta amorevolezza, che non la riconoscevo più.
– Daniele caro – ella disse, – tu devi mangiare e bere, e tenerti in forze; se no, non potrai far nulla. Fatti coraggio, Daniele caro. E se ti disturbo con le mie chiacchiere, dimmelo, che mi starò zitta.
Dopo che ci ebbe serviti tutti, andò a riparare le camicie e gli abiti del pescatore Peggotty, e poi a piegarli accuratamente e a chiuderli in un vecchio sacco di tela incerata, di quelli che adoperano i marinai. Intanto continuava a parlare, con la medesima pacatezza:
– In ogni tempo e in ogni stagione, Daniele caro, ritieni per certo – disse la signora Gummidge – che io me ne starò qui, e tutto sarà fatto secondo il tuo desiderio. Io non so scrivere bene, ma di tanto in tanto, mentre sarai via, ti farò qualche lettera, e la manderò al signorino Davy. Anche tu, spero, mi scriverai di tanto in tanto, Daniele, e mi dirai tutti i viaggi che farai così solo.
– Temo che starai male qui, sola sola! – disse il pescatore Peggotty.
– No, no, Daniele – ella rispose: – non ci sarà pericolo.
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