Dopo il desinare, ci trattenemmo seduti per un paio d’ore accanto alla finestra, senza parlar molto; e poi il pescatore Peggotty si levò, andò a prendere il sacco di tela incerata e il bastone, e li depose sulla tavola.
Accettò dalla sorella una sommetta in acconto del suo legato; appena abbastanza, a quanto mi parve, per vivere qualche mese. Promise di scriverle, se qualcosa gli accadesse, si pose il sacco in ispalla, si prese il cappello e il bastone, e ci disse: «Addio!».
– Che Dio ti benedica, mia cara – aggiunse, abbracciando Peggotty – e voi anche, signorino Davy – disse, stringendomi la mano. – Io vado a cercarla, dove si trova. Se dovesse ritornare, mentre io son via (ma, ahimè, non è probabile!) o se dovessi ricondurla io, la mia intenzione sarebbe d’andare a vivere con lei dove nessuno potrà muoverle un rimprovero. Se mi dovesse capitar qualche disgrazia, ricordate le ultime parole che io lascio per lei; «Il mio affetto per la mia figliuola è immutabile, e io le perdono!».
Disse questo con solennità, a testa nuda, poi, mettendosi il cappello, discese le scale, e s’allontanò. Noi lo seguimmo alla porta. Era una sera calda e polverosa, e l’ora in cui nella grande arteria, in cui sboccava la nostra stradicciola, v’era un momentaneo intervallo del continuo traffico sul marciapiede, e un vivo splendor di sole. Egli svoltò solo all’angolo del nostro vicolo oscuro, entrò nel fulgore della luce, e lo perdemmo di vista.
Raramente tornò quell’ora, raramente mi svegliai di notte, raramente guardai la luna o le stelle, o vidi cader la pioggia, o udii soffiare il vento, senza pensare all’uomo che continuava ad andar solo soletto, povero pellegrino, e senza ricordare queste parole:
| |
Peggotty Dio Peggotty Davy
|