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      «Io vado a cercarla, dove si trova. Se mi dovesse capitar qualche disgrazia, ricordate le ultime parole che io lascio per lei: – Il mio affetto per la mia figliuola è immutabile, e io le perdono!».
      XXXIII.
      BEATOAvevo continuato, nel frattempo, ad amar Dora, più ardentemente che mai. Il pensiero di lei, che m’era di refrigerio nelle mie delusioni e nei miei affanni, mi consolava in qualche modo anche della perdita dell’amico. Più compiangevo me stesso o compiangevo gli altri, più cercavo consolazione nell’immagine di Dora. Maggiore era il cumulo di inganni e di tristizie che incontravo nel mondo, più splendida e più pura sul mondo splendeva la stella di Dora. Non credo che avessi una idea abbastanza definita della provenienza di Dora o del suo grado di parentela con un ordine più alto di esseri; ma sono assolutamente certo che avrei sdegnosamente respinto l’affermazione ch’ella fosse semplicemente umana, come qualunque altra fanciulla.
      Io m’ero completamente immerso in Dora, se m’è lecito dir così. Di lei non soltanto ero innamorato cotto fino ai capelli, ma perfettamente saturo in ogni fibra. Metaforicamente parlando, si sarebbe potuto spremere da me abbastanza amore da annegarvi qualcuno; e pure me ne sarebbe rimasto ancora tanto intorno e di dentro da compenetrarmi tutta l’esistenza.
      Primo effetto d’un mio spontaneo impulso, al ritorno, fu di andare a fare una passeggiata notturna a Norwood, e di girare, secondo un venerabile indovinello del tempo della mia fanciullezza «intorno intorno alla casa senza mai toccar la casa», pensando a Dora.


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David Copperfield
di Charles Dickens
pagine 1261

   





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