Regolati gli affari di Peggotty, che erano ciò che in Corte si usava chiamare «affari ordinari» (e gli «affari ordinari» erano molto facili e molto lucrosi), una mattina la condussi allo studio a pagare il conto. Il signor Tiffey mi annunziò che il signor Spenlow era uscito per andare a far giurare un cliente che domandava una licenza di matrimonio; ma siccome sapevo che sarebbe tornato subito, perché il nostro studio era vicinissimo all’ufficio del Vicario generale, dissi a Peggotty d’aspettare.
Eravamo, al Doctor’s Commons, in fatto di verifiche testamentarie, un po’ come gl’imprenditori di pompe funebri; e avevamo in generale l’abitudine di comporci un’aria più o meno afflitta verso i clienti vestiti a lutto. Per un simil sentimento di delicata interpretazione, eravamo lieti ed espansivi coi clienti che si presentavano per avere una licenza di matrimonio. Perciò avvertii Peggotty che essa avrebbe visto il signor Spenlow completamente rimesso dall’impressione prodottagli dalla morte di Barkis; e infatti egli arrivò radioso come un fidanzato.
Ma né Peggotty né io avemmo più occhi per lui, quando vedemmo, insieme con lui, entrare il signor Murdstone. Questi non era cambiato gran che: aveva i capelli folti e neri come una volta; e negli occhi lo stesso falso sguardo di prima.
– Ah, Copperfield? – disse il signor Spenlow. – Voi conosceste questo signore, credo?
Feci a quel signore un freddo saluto, e Peggotty ebbe l’aria di riconoscerlo. Egli, a tutta prima, parve alquanto sconcertato di trovarci insieme; ma, ad un tratto decise come condursi, e mi s’avvicinò:
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