Dissi ancora che forse era un po’ ingiusto che tutti i grandi uffici di quel grande Ufficio costituissero delle magnifiche sinecure, mentre i disgraziati scrivani, costretti a lavorare nella stanza buia lassù, formavano la categoria dei funzionari peggio retribuiti e meno considerati in Londra, nonostante i loro importanti servigi. Forse anche non era un po’ indecoroso, mentre gli affari abbondavano, che l’archivista capo, il cui dovere era di dare al pubblico, che si rivolgeva continuamente a quegli uffici, tutte le comodità necessarie, godesse in virtù del suo posto un’enorme sinecura (e potesse essere inoltre, un ecclesiastico, un uomo che accumulava molti benefici, un canonico della cattedrale, e così via), mentre il pubblico sopportava infinite noie, delle quali si davano ogni giorno degli esempi assolutamente mostruosi? Che, insomma, quell’Ufficio delle Prerogative della diocesi di Canterbury era, forse, un tale indicibile intruglio, una tale perniciosa assurdità, che se non fosse stato cacciato in un angolo del Cimitero di San Paolo, noto a pochissimi, sarebbe stato da lungo tempo completamente rivoltato come un guanto e rovesciato.
Il signor Spenlow sorrise vedendomi così infervorato, e poi discusse con me della questione, come aveva discusso dell’altra. Dopo tutto, di che si trattava? – egli disse. – Si trattava di una semplice questione di sentimento. Se il pubblico era convinto che i suoi testamenti fossero sicuramente custoditi, e ammetteva che l’Ufficio funzionasse in piena regola, chi ci perdeva?
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