Per me fu un dispiacere trovar lì della gente che ci aspettava, e la mia gelosia, anche per le signore, non ebbe limiti. Ma tutti quelli del mio sesso – specialmente un impostore, di tre o quattro anni maggiore di me, con le fedine rosse sulle quali egli fondava un insopportabile presunzione – furono i miei nemici mortali.
Tutti aprimmo i panieri, e ci occupammo della preparazione del desinare. Fedinerosse pretese di saper fare l’insalata (cosa a cui non credo), e si impose all’attenzione pubblica. Alcune fra le signorine gli lavarono la lattuga e si misero a sminuzzarla sotto la sua direzione. Fra esse c’era Dora. Sentii che il fato mi contrapponeva quell’uomo, e che l’uno o l’altro doveva soccombere.
Fedinerosse fece l’insalata (mi meraviglio come si potesse mangiarla: nulla al mondo m’avrebbe indotto ad assaggiarla!), e si attribuì l’ufficio di cantiniere, e costruì la cantina, per darsi l’aria d’un bruto ingegnoso, nella cavità, d’un tronco d’albero; e, poco dopo, lo vidi, con la maggior parte d’un’aragosta su un piatto, mangiare ai piedi di Dora.
Non ho un’idea chiara di ciò che accadesse per qualche tempo, dopo che quel tristo spettacolo s’era offerto al mio sguardo. So che mi mostravo molto allegro; ma d’una allegria fittizia. Allora m’aggrappai a una giovinetta vestita di rosa, dagli occhi piccoli, e civettai con lei disperatamente. Ella accolse favorevolmente le mie attenzioni; ma non so dire se soltanto per sé, o se per qualche mira che avesse su Fedinerosse. Si bevve alla salute di Dora.
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Dora Dora Fedinerosse Dora
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