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      Baciai la mano alla signorina Mills, e mi parve che tutti e tre salissimo di filato al settimo cielo.
      E non ne discendemmo. Ci trattenemmo lassù tutta la sera, errando prima qua e là fra gli alberi, io col timido braccio di Dora nel mio: e che felicità sarebbe stata, benché sembrasse una pazzia, diventare immortali con quegli sciocchi sentimenti in cuore, ed errar sotto quegli alberi in eterno!
      Troppo presto, ahimè, sentimmo gli altri ridere e parlare, e gridare: «Dov’è Dora?». Tornammo quindi dov’eran gli altri, e si chiese che Dora cantasse. Fedinerosse avrebbe voluto slanciarsi a prendere la chitarra nella carrozza, ma Dora gli disse che soltanto io sapevo dove fosse. Così Fedinerosse in un istante fu spacciato, e andai io a pigliarla, e io apersi la custodia, e io ne trassi la chitarra, e io mi sedetti accanto a lei, e io le tenni il fazzoletto e i guanti, e io bevvi ogni nota della sua cara voce, che cantava di me che l’amavo. Gli altri potevano applaudire come loro piaceva e pareva, ma con la romanza non avevan nulla a che fare.
      Ero colmo di gioia. Temevo che quella gioia fosse soverchia, e fosse un sogno, e che in quel momento mi dovessi svegliare in Buckingham Street e sentir l’acciottolìo della signora Crupp nell’atto di prepararmi la colazione. Ma Dora cantava, e altri cantavano, e la signorina Mills cantò – di echi dormienti nelle caverne della memoria, come se fosse stata vecchia di cento anni – e giunse la sera, e fu fatto il tè, con la teiera che bolliva alla foggia degli zingari, ed io ero più che mai felice.


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David Copperfield
di Charles Dickens
pagine 1261

   





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