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Quando noi avevamo quei convegni nel giardino della piazzetta, e ci sentivamo così felici in quel polveroso padiglione, che ora amo i passeri di Londra per tale unica ragione, e veggo i colori dell’arcobaleno nelle loro penne affumicate...
Quando scoppiò il nostro primo grande dissenso (una settimana dopo il nostro fidanzamento), e quando Dora mi rimandò l’anello, avvolto in un bigliettino piegato ad angolo, nel quale usava la terribile espressione che «il nostro amore era cominciato con la follia e finiva con la demenza!» le quali tremende parole mi fecero strappare i capelli e gridare che tutto era finito...
Quando, nel manto della notte, io ricorsi dalla signorina Mills, che vidi furtivamente nel retrocucina ove era una macchina per il bucato, e supplicai la signorina Mills d’interporsi fra noi e salvarci da una pazzia...
Quando la signorina Mills acconsentì ad assumersi l’impresa, e ritornò con Dora, esortandoci, dal pergamo della sua amara giovinezza, a mutue concessioni, per sfuggire il deserto di Sahara...
Quando noi piangemmo, e ci riconciliammo, e fummo di nuovo così beati, che il retrocucina con la macchina del bucato e tutto, si mutò in un vero tempio d’amore, dove fu architettato un piano di corrispondenza per mezzo della signorina Mills, da comprendere almeno una lettera al giorno da una parte e dall’altra...
Che tempo beato! Che tempo etereo, sciocco, e felice! Di tutti i miei tempi che il Tempo ha nelle sue branche, non ve n’è un altro che come quello mi faccia sorridere e m’intenerisca tanto.
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