E noi ci avviammo verso il mio appartamento. Siccome le botteghe avevano per Peggotty un fascino che non ebbero mai nello stesso grado per nessun altro, andai indugiandomi spesso, divertito a vederla guardare le mostre, e aspettandola per tutto il tempo necessario. Così ci volle un bel pezzo prima che arrivassimo all’Adelphi.
Salendo le scale di casa, le feci osservare la improvvisa scomparsa dei trabocchetti della signora Crupp, e anche le impronte di passi recenti. Ed entrambi fummo sorpresi, arrivando più su, di veder l’uscio esterno dell’appartamentino spalancato (che io avevo chiuso) e di udir delle voci al di dentro.
Ci guardammo a vicenda, senza saper che pensare, ed entrammo nel salottino. Qual non fu la mia meraviglia al trovare... indovinate chi mai! Mia zia e il signor Dick: mia zia seduta fra una gran quantità di bagagli, coi suoi due uccelli innanzi, e il gatto sulle ginocchia, come un Robinson Crusoe femmina; il signor Dick poggiato in atteggiamento pensoso a un grande aquilone simile a quelli ai quali avevamo dato insieme il volo, e circondato da un’altra numerosa collezione di bauli e di casse.
– Mia cara zia – esclamai – che bella sorpresa!
Cordialmente ci abbracciammo; cordialmente strinsi la mano al signor Dick; e la signora Crupp, che era occupata a fare il tè, e non poteva essere troppo intenta a ciò che faceva, cordialmente osservò che lei sapeva bene che il signor Copperfield sarebbe stato felicissimo di rivedere i parenti.
– Ah, tu! – disse mia zia a Peggotty, la quale tremava innanzi a quella terribile presenza.
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