– Che possiamo fare, Trotwood? – disse il signor Dick. – C’è il memoriale.
– Certo, c’è il memoriale – dissi. – Ma per ora quello che possiamo fare, signor Dick, è di aver l’aria allegra, e di non far trasparire a mia zia che siamo impensieriti.
Di questo egli si persuase perfettamente; e mi supplicò, se l’avessi visto spostarsi d’un solo pollice dal retto sentiero, di ricondurvelo con qualcuno di quei mezzi ingegnosi che a me non mancavano mai. Ma mi rincresce di dire che la paura che gli avevo fatta era stata tanta che con gran difficoltà si provava a nasconderla. Tutta la sera, guardò continuamente mia zia con un’espressione di tanta tristezza e inquietudine, che sembrava ch’egli la vedesse gradatamente assottigliarsi ed emaciarsi. Di questo si dava conto, e tentava ogni sforzo per non muovere la testa; ma col tenerla immobile e girare gli occhi come fanno gli automi, non riparava a nulla. Lo vidi considerare, durante la cena, il pane (che per caso era piccolo) come se null’altro fosse fra noi e la morte per fame; e quando mia zia insistette perché egli mangiasse secondo il solito, lo scoprii che si nascondeva in tasca un pezzo di pane e di formaggio: certamente con lo scopo di salvarci, con quelle vettovaglie, nell’ora che fossimo cacciati al punto estremo della disperazione.
Mia zia, al contrario, mostrava una calma che era una lezione per noi tutti – per me, certo. Ella si mostrava molto affabile con Peggotty, tranne quando io la chiamavo inavvertitamente con questo nome; e pareva stare perfettamente a suo agio, nonostante la sua ripugnanza per Londra.
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