Lei doveva coricarsi in camera mia, e io rimanere nel salottino, a montare la guardia. Si diceva soddisfatta di trovarsi dalla parte del fiume, nel caso d’un incendio; e veramente credo che fosse lieta di quella circostanza.
– Caro Trot – disse mia zia, come vide che mi accingevo a prepararle la sua solita bevanda serale. – No!
– Non volete nulla, zia?
– Non col vino, caro. Con la birra.
– Ma il vino ce l’ho, zia. E voi usate sempre il vino.
– Serbalo in caso di malattia – disse mia zia. – Non bisogna farne spreco, Trot. Dammi la birra. Una mezza bottiglia.
Mi parve che il signor Dick stesse lì lì per svenire. Mia zia fu irremovibile, ed io uscii per andare a comprare la birra. Siccome era tardi, Peggotty e il signor Dick colsero quell’occasione per fare insieme la via verso la bottega del droghiere. Io mi separai da lui, poveretto, alla cantonata, e lo vidi allontanarsi con l’aquilone sulle spalle, che pareva l’immagine della miseria umana.
Quando rientrai, mia zia passeggiava su e giù per la stanza, arricciando con le dita gli orli della sua cuffia da notte. Feci scaldare la birra e feci i crostini secondo le solite infallibili norme. Quando tutto fu pronto, era pronta anche lei, con la cuffia in testa, e il lembo della veste rimboccato sulle ginocchia.
– Caro mio – disse mia zia, dopo aver assaggiato un cucchiaio del liquido; – è molto migliore del vino, e molto meno biliosa.
Immaginò che io non ne fossi persuaso, perché aggiunse:
– Zitto, zitto, figlio mio. Se non ci accadesse nulla di peggio che dover bere la birra, potremmo esser soddisfatti.
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Trot Trot Dick Peggotty Dick
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