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      La prima volta balzai su impaurito, per apprendere che da un certo chiarore nel cielo ella temeva s’incendiasse l’Abbazia di Westminster, ed esser consultato sulla probabilità che il fuoco si propagasse a Buckingham Street, nel caso che il vento cambiasse di direzione. Quando riapparve la seconda volta, non mi mossi, ma ella mi si sedé accanto, mormorando: «Povero ragazzo!» E quella sua sollecitudine per me, mentre io non piangevo che sulla mia sorte personale, mi fece sentire ancor più aspramente la mia miseria.
      Era difficile credere che la notte, così lunga per me, potesse essere breve per gli altri. Questa considerazione mi fece fantasticare su una festa immaginaria nella quale gl’invitati passassero la notte a danzare; poi quella mia idea diventò un sogno anch’essa, e udii la musica sonare continuamente lo stesso ballabile, e vidi Dora danzare continuamente la stessa danza, senza farmi neppure l’elemosina d’un’occhiata. L’uomo, che aveva sonato tutta la sera l’arpa, si sforzava invano di coprirla con una cuffia da notte di dimensioni regolari, quando a un tratto mi svegliai; o piuttosto dovrei dire, quando rinunziai a tentare d’addormentarmi, e vidi finalmente splendere il sole a traverso la finestra.
      V’era un antico bagno romano, in quei giorni, in fondo a una delle perpendicolari dello Strand – forse c’è ancora – dove spesso andavo a tuffarmi nell’acqua fredda. Mi vestii, cercando di non fare il minimo rumore, e lasciando a Peggotty la cura d’occuparsi di mia zia, corsi a tuffarmi nell’acqua con la testa in giù, e poi a fare una passeggiata a piedi fino ad Hampstead.


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David Copperfield
di Charles Dickens
pagine 1261

   





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