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      – Per nulla affatto. Non lo dite – disse il signor Spenlow. – Nello stesso tempo, stavo dicendo, se io avessi le mani libere... se non avessi un socio... il signor Jorkins.
      Le mie speranze a un tratto s’infransero; ma feci un altro sforzo.
      – Credete, signore – io dissi – che se ne parlassi al signor Jorkins...
      Il signor Spenlow scosse il capo con aria scoraggiata.
      – Dio mi guardi, Copperfield – egli rispose – dal far torto a nessuno: tanto meno al signor Jorkins. Ma io conosco il mio socio, Copperfield. Il signor Jorkins non è uomo da accogliere una domanda di questo genere. È difficilissimo smuovere il signor Jorkins dalla via battuta. Voi lo conoscete!
      Io non lo conoscevo affatto. Sapevo soltanto ch’egli in principio era stato l’unico padrone dello studio e che ora abitava solo in una casa in vicinanza di Montagu Square, la quale aveva un gran bisogno dell’imbianchino; che veniva molto tardi all’ufficio, e se n’andava prestissimo; che mi sembrava non fosse consultato mai in nulla; e che aveva un oscuro stanzino su, dove non si faceva mai un affare, e dove sul tavolo si poteva vedere un quaderno ingiallito di carta asciugante, senza una macchia d’inchiostro, il quale, si diceva, stesse lì da vent’anni.
      – Vi dispiacerebbe se gliene parlassi, signore? – chiesi.
      – No, che non mi dispiacerebbe – disse il signor Spenlow. – Ma io conosco abbastanza il signor Jorkins, Copperfield. Vorrei che non fosse così, perché sarei felice di poter fare quanto mi domandate. Parlate pure col signor Jorkins, Copperfield, se credete che ne metta conto.


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David Copperfield
di Charles Dickens
pagine 1261

   





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