Valendomi di questo permesso, che fu dato con una forte stretta di mano, me ne andai e stetti, fino all’arrivo del signor Jorkins, nel mio cantuccio a pensare a Dora e a guardare il sole, che lasciò i vasi del caminetto e illuminò il muro della casa opposta. Salii su, nel gabinetto del signor Jorkins, che si mostrò evidentemente sorpreso di vedermi apparire lassù.
– Entrate, signor Copperfield – disse il signor Jorkins. – Entrate.
Entrai, e mi sedetti; e riferii la cosa al signor Jorkins presso a poco come avevo fatto col signor Spenlow. Il signor Jorkins non era la terribile persona che si sarebbe creduta; ma un signore sulla sessantina, dal volto grosso, liscio, che faceva un uso così abbondante di tabacco da naso, da far correre la voce nel Commons che vivesse principalmente di quello stimolante, non rimanendogli che uno scarsissimo spazio in corpo per altri ingredienti di natura alimentare.
– Ne avete parlato al signor Spenlow, immagino? – disse il signor Jorkins, dopo avermi ascoltato sino alla fine con visibile impazienza.
Gli dissi di sì, e aggiunsi che il signor Spenlow aveva fatto appunto il suo nome.
Ha detto che io sarei stato contrario? – chiese il signor Jorkins.
Fui obbligato ad ammettere che il signor Spenlow aveva considerato la cosa come molto probabile.
– Mi rincresce di dirvi, signor Copperfield, che io non ci posso far nulla – disse il signor Jorkins, impacciato. – Il fatto sta... ma io ho un appuntamento alla Banca, e dovete aver la bontà di scusarmi.
Così dicendo, si levò in gran fretta, preparandosi ad uscire, quando mi feci ardito di dirgli che temevo non vi fosse modo di accomodar la faccenda.
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