Prima, fece delle perdite in certe imprese minerarie; poi subì delle perdite in certe pesche curiose... pesche di tesori e altre simili follie – spiegò mia zia, stropicciandosi il naso – e poi di nuovo subì delle perdite in altre miniere, e poi, alla fine, per coronar l’opera, subì delle perdite in una Banca. Non so quanto valessero le azioni di quella Banca per un certo tempo – disse mia zia – il doppio del prezzo di emissione, credo; ma la Banca era all’altro capo del mondo, ed è crollata nello spazio, a quanto ne so: in ogni caso, s’è frantumata e non pagherà, né potrà pagare mai un soldo; e quel poco che Betsey possedeva era depositato in quella Banca ed è tutto sparito. Non c’è da far altro che non parlarne più.
Mia zia concluse questo filosofico sommario, fissando con una cert’aria di trionfo Agnese, che riacquistava a poco a poco il colore perduto.
– Cara signora Trotwood, è tutto qui il fatto? – disse Agnese.
– Spero che basti, figlia mia – disse mia zia. – Se ci fosse stato dell’altro denaro da perdere, forse non sarebbe finito così, credo. Betsey avrebbe fatto di tutto per mandarlo a raggiungere il resto, e senza dubbio, ci sarebbe stato un altro capitolo da raccontare. Ma denaro non ce n’era più, e la storia finisce così.
In principio Agnese l’aveva ascoltata trattenendo il fiato. Ancora diventava a volta a volta pallida e rossa, ma respirava più liberamente. Credevo d’indovinarne il perché. Ella certo aveva temuto qualche istante che il suo disgraziato padre potesse essere stato in qualche modo responsabile di ciò che era accaduto.
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