– Cara Agnese! – dissi. – Che farei senza di voi? Voi siete sempre il mio buon angelo. Ve lo dissi una volta, e non ho pensato mai a voi che come al mio angelo custode.
Agnese rispose col suo caro sorriso che bastava (alludendo a Dora) un angelo custode solo; e continuò ricordando che il dottore era solito d’occuparsi dei suoi studi la mattina presto e la sera e che probabilmente le mie ore di libertà avrebbero coinciso perfettamente coi suoi desideri. Se io ero lieto della speranza di poter guadagnarmi da me il pane quotidiano, lo ero ancor più di poterlo guadagnare col mio antico maestro; e, seguendo subito il consiglio d’Agnese, mi misi a scrivere una lettera al dottore, nella quale esponevo il mio desiderio e il proposito di fargli una visita la mattina dopo alle dieci. Indirizzai la lettera a Highgate – perché abitava in quel luogo, pieno di tanti miei ricordi – e andai a impostarla io stesso, senza perdere un minuto.
Agnese, dovunque andasse, lasciava un segno gradito della sua tacita presenza. Al ritorno, trovai la gabbia degli uccelli di mia zia sospesa alla finestra, come già nel salotto del villino; e la mia poltrona, messa, come quella molto più bella di mia zia, innanzi alla finestra aperta; e la ventola verde, che mia zia s’era portata appresso piantata con una vite sul davanzale. Sapevo chi aveva fatto tutto, semplicemente perché tutto sembrava si fosse fatto tacitamente da sé; e avrei indovinato subito la mano che mi aveva ordinato nel modo come li ordinavo io, al tempo che andavo a scuola, i libri allora negletti, anche se avessi creduto Agnese mille miglia lontana, e non l’avessi veduta, sorridendo del disordine in cui erano sparpagliati, affaccendata a riassettarli.
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Agnese Dora Agnese Highgate Agnese
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