Lo spostamento dei due caratteri nelle loro relazioni – Uriah diventato padrone e il signor Wickfield dipendente – fu una vista che mi rattristò tanto che non saprei dire. Se avessi veduto una scimmia condurre un uomo al guinzaglio, lo spettacolo non mi sarebbe parso più degradante.
E sembrava ch’egli ne fosse perfettamente a cognizione. Quand’entrò, se ne stette silenzioso e con la testa bassa, come se lo sentisse. Fu un istante; perché Agnese dolcemente gli disse:
«Papà, ecco la signora Betsey Trotwood... e Trotwood, che non vedi da tanto tempo!» e allora egli s’avvicinò, e stese impacciato la mano a mia zia, e poi strinse con maggiore cordialità la mia. Nel momento di cui parlo, vidi apparire sulla faccia di Uriah un sinistro sorriso. Anche Agnese lo vide, credo, perché si allontanò da lui. Ciò che mia zia vedesse o non vedesse, sfido tutta la scienza fisionomica a indovinarlo senza il permesso di lei. Credo che non sia mai esistita un’altra che, a suo piacere, fosse più di mia zia imperturbabile. Il suo volto, muraglia impenetrabile, non fece trasparire alcun pensiero, finché ella non ruppe il silenzio, come sempre le accadeva, improvvisamente.
– Ebbene, Wickfield – disse mia zia, costringendolo a fissarla per la prima volta. – Ho narrato a vostra figlia il bell’uso che ho fatto del mio denaro, perché io non potevo più affidarlo a voi che diventavate rugginoso in fatto di affari. Ci siamo consigliati un poco insieme, e tutto considerato, s’è conchiuso abbastanza. Secondo me, Agnese vale più di tutta la vostra ditta.
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