– Sé m’è permesso di fare una modesta osservazione – disse Uriah Heep, con una contorsione – convengo pienamente con la signora Betsey Trotwood, e sarei felicissimo di avere anche Agnese per socia.
– Contentatevi d’esser socio voi – rispose mia zia. – Vi deve bastare, credo. Come state, signore?
In risposta a questa domanda, formulata in tono assai brusco, il signor Heep, stringendo con aria impacciata la borsa azzurra che aveva con sé, disse che stava benissimo, ringraziava mia zia, e sperava lo stesso di lei.
– E voi, signorino... dovrei dire signor Copperfield – continuò Uriah, – spero che stiate molto bene. Son lieto di rivedervi, signor Copperfield, anche nelle circostanze attuali. – Lo credevo bene; perché mi pareva ch’egli ne avesse un gran piacere. – Le circostanze attuali non sono ciò che gli amici vi augurano, signor Copperfield, ma il denaro non fa l’uomo: lo fa in vece... veramente non sono in grado con le mie modeste facoltà di esprimere ciò che lo fa – disse Uriah con un tratto servile – ma certo non è il danaro.
Così dicendo mi strinse la mano; non al modo di tutti, ma mantenendosi a una certa distanza da me, e sollevandomi la mano su e giù, come il manico d’una pompa, della quale avesse una certa paura.
– E come vi sembra che noi stiamo, signorino Copperfield... dovrei dire signore – continuò Uriah con adulazione. – Non trovate il signor Wickfield d’aspetto assai florido, signore? Gli anni non contano molto nella nostra società, signorino Copperfield, tranne nel sollevare gli umili, cioè la mamma e me.
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