Era mio dovere di mostrare a mia zia che non ero un egoista e un ingrato, indegno della sua bontà e della sua generosità. Era mio dovere d’andare al lavoro, facendo tesoro della penosa disciplina dei miei primi giorni, con cuore fermo e risoluto. Era mio dovere di brandire la scure del boscaiuolo e di aprirmi la via a traverso la foresta delle difficoltà, atterrando gli alberi finché non fossi giunto a Dora. E andai innanzi a passo di corsa, come se potessi far tutto semplicemente correndo.
Quando mi trovai sulla strada, a me familiare, di Highgate, con uno scopo diverso da quello con cui l’avevo percorsa altre volte, che era stato di piacere e col quale in mente l’avevo sempre associata, mi parve che tutta la mia vita fosse completamente mutata. Ma questo non mi scoraggiò. Vita nuova, propositi nuovi. Grande sarebbe stata la fatica; impareggiabile la ricompensa. Dora era la ricompensa, e Dora si doveva conquistare.
Mi eccitai tanto, che mi dispiacque alquanto di non aver già l’abito frusto. Volevo già essere occupato ad abbattere gli alberi nella foresta delle difficoltà in circostanze che provassero la mia forza. Avevo quasi intenzione di chiedere a un vecchio, che aveva le lenti di fil di ferro e rompeva le pietre sulla strada, di prestarmi un po’ il martello e lasciarmi cominciare a scavare nel granito un pensiero per Dora. Mi esaltai e mi scaldai tanto, andando innanzi quasi senza fiato, che mi parve che mi fossi occupato a guadagnare non so quanto. In quella condizione, entrai in un villino che era da appigionare, e lo visitai minutamente – perché sentivo la necessità di esser pratico.
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Dora Highgate Dora Dora
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