Dovevo riposare anche la domenica naturalmente; e queste condizioni mi parvero assai convenienti.
Stabiliti i nostri patti con reciproca soddisfazione, il dottore mi condusse in casa per presentarmi alla signora, che era occupata a spolverare i libri nel nuovo studio del dottore, operazione ch’egli non avrebbe mai permesso ad altri di fare.
Essi avevano ritardato l’ora della colazione per me, e ci mettemmo a tavola insieme. Ci eravamo appena seduti che notai nel volto della signora Strong come un’ansia per un imminente arrivo, prima di sentire che un visitatore si avvicinava. Un signore scese da cavallo al cancello, e conducendo, come fosse di casa, per la briglia infilata al braccio la bestia nel cortiletto, la legò a un anello nel muro sotto una tettoia vuota, e quindi entrò nella stanza da pranzo col frustino in mano. Era Jack Maldon; e mi parve che l’India non avesse giovato molto a Jack Maldon. È vero, però, che la mia impressione, nei termini di rigida virtù, entro i quali m’ero messo nel giudizio sui giovani non occupati ad abbattere gli alberi nella foresta delle difficoltà, deve essere ricevuta con beneficio d’inventario.
– Il signor Jack Maldon – disse il dottore. – Il signor Copperfield.
Il signor Jack Maldon mi strinse la mano; ma senza molto calore, mi parve, e un’aria di languido patrocinio, della quale m’adombrai molto in segreto. Del resto la sua languidezza era uno spettacolo magnifico, tranne nei momenti che egli volgeva la parola alla cugina Annie.
– Hai fatto colazione questa mattina, Jack?
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