Condussi con me il signor Dick, che già due volte era venuto con me a Highgate e ché aveva ripreso le sue abitudini d’intimità col dottore.
Condussi con me il signor Dick, perché egli, acutamente sensibile al rovescio finanziario di mia zia, e sinceramente convinto che nessuno schiavo di galera o forzato lavorasse quanto lavoravo io, aveva cominciato a perdere l’appetito e a consumarsi dalla voglia di far qualche cosa di utile. In queste condizioni, si sentiva più incapace che mai di finire il memoriale, e più s’accaniva a lavorarvi, e più frequentemente la disgraziata cervice di Carlo I vi faceva capolino. Sinceramente convinti che la sua malattia si sarebbe aggravata, se non avessimo ordito qualche innocente inganno per fargli credere alla propria utilità, o se non l’avessimo messo in grado di rendersi effettivamente utile (che sarebbe stato meglio), pensai di tentare se Traddles non potesse aiutarci. Prima d’andarlo a trovare, gli scrissi un fedele resoconto di ciò che era accaduto, e Traddles mi fece una magnifica risposta, riboccante di simpatia e d’amicizia.
Lo trovammo occupato al lavoro, col calamaio e le carte, allietato dallo spettacolo della colonna per il vaso da fiori e del tavolino tondo col piano di marmo in un angolo della stanzetta. Ci ricevette con grande cordialità, e diventò in un momento amico del signor Dick. Il signor Dick disse d’essere assolutamente certo d’averlo incontrato prima, ed entrambi esclamammo: «Molto probabilmente».
La prima questione sulla quale dovevo consultare Traddles era questa.
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