Mi stancai più che potei tutto il giorno nel Commons, con una gran varietà di occupazioni, e al tempo stabilito nella serata, corsi nella via abitata dal signor Mills. Il signor Mills, che era terribile per addormentarsi sempre dopo il desinare, non era ancora uscito, e la gabbia non era ancora apparsa al terrazzino del salotto.
Egli mi fece aspettare tanto, che fervidamente m’augurai che i suoi compagni di giuoco lo condannassero a una multa per quel ritardo. Finalmente uscì; e allora vidi Dora sospendere la gabbia, e a far due passi nel terrazzino per veder se ci fossi, e rientrare vedendo che c’ero, mentre Jip rimaneva ad abbaiare verso strada, con tutte le sue forze, a un immenso cane da macellaio, che avrebbe potuto inghiottirlo come una pillola.
Dora mi venne incontro alla porta del salottino, e Jip mi si avventò contro rotolando e ringhiando, con l’impressione che fossi un brigante; e tutti e tre entrammo nella camera con un’aria di beatitudine. Tosto portai la desolazione nel seno della nostra felicità – veramente non ne avevo l’intenzione, ma ero così traboccante del mio soggetto! – col chiedere a Dora, senza la minima preparazione, se potesse voler bene a un pezzente.
Giudicate della sorpresa della mia leggiadra, piccola Dora! La sola immagine che le svegliava quella parola era quella d’una faccia gialla e d’una cuffia da notte, o quella d’un paio di stampelle, o d’una gamba di legno, o d’un cane con una scodella in bocca, o di qualche altra cosa di simile; ed ella mi diede uno sguardo pieno di inesprimibile stupore.
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