– Il tuo cuore è sempre mio, cara Dora! – dissi, delirante, perché dall’energia con la quale ella mi si stringeva sapevo che era ancor mio.
– Oh, sì! – esclamò Dora. – Sì, è tutto tuo, ma non mi far paura!
– Io farti paura! Dora!
– Non parlare di povertà, e di lavoro penoso! – disse Dora, stringendomisi più da presso. – Per carità! Per carità!
– Amor mio dolce – dissi – il tozzo di pane guadagnato col sudo...
– Oh, sì! Ma io non voglio sentir più parlare di tozzi di pane! – disse Dora. – E Jip deve avere tutti i giorni alle dodici una costoletta di castrato. Se no, morrebbe.
Io ero sotto il fascino della grazia delle sue maniere infantili. Spiegai teneramente a Dora che Jip avrebbe avuto la sua costoletta di castrato con la consueta puntualità. Tratteggiai il quadro della nostra frugale vita avvenire, resa indipendente dal mio lavoro – tenendo a modello la casetta visitata a Highgate e confinando mia zia nella camera superiore.
– Sono terribile adesso, Dora? – dissi con gran tenerezza.
– Oh, no, no! – esclamò Dora. – Ma spero che tua zia si tratterrà molto in camera sua. E spero che non sarà una vecchia brontolona.
Se mi fosse stato possibile voler più bene a Dora di quanto le volessi, son certo che gliel’avrei voluto. Ma sentivo che ella era un poco inaccessibile. Il mio novello ardore si attenuava nel trovare che era così difficile comunicarlesi. Feci un’altra prova. Quando si fu rimessa completamente, e stava arrotolando le orecchie di Jip, che le giaceva in grembo, io assunsi un aspetto grave, e le dissi:
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