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      Al mio ritorno a casa, confidai tutto a mia zia; e, nonostante tutto ciò ch’ella poté dirmi, andai a letto disperato. Mi levai disperato e uscii disperato. Era una mattina di sabato, e andai difilato al Commons.
      Rimasi sorpreso, arrivando in vista della porta del nostro studio, nel veder dei fattorini aggruppati insieme a chiacchierare, e una mezza dozzina di curiosi levar gli sguardi alle finestre chiuse. Affrettai il passo, e facendomi largo fra il crocicchio, domandandomi che avessero, entrai in fretta.
      Gl’impiegati c’erano, ma nessuno faceva nulla. Il vecchio Tiffey, la prima volta in vita sua, credo, era seduto sullo sgabello d’un altro, e non aveva neppure appeso il cappello all’attaccapanni.
      – È una gran disgrazia, signor Copperfield – egli disse, nell’istante che mi vide entrare.
      – Che? – esclamai. – Che c’è?
      – Non sapete? – esclamò Tiffey, con tutti gli altri, circondandomi.
      – No! – dissi, guardandoli in giro. – Il signor Spenlow – disse Tiffey.
      – Ebbene?
      – È morto.
      Credetti che lo studio barcollasse, e non io, mentre uno degl’impiegati mi sosteneva. Mi fecero sedere su una sedia, mi sciolsero la cravatta, e mi portarono un po’ d’acqua. Non ho alcuna idea del tempo che ci occorse.
      – Morto? – dissi.
      – Ieri egli rimase a pranzare in città, e se ne tornò solo con la sua carrozza – disse Tiffey – dopo aver rimandato a casa in diligenza il cocchiere, come faceva qualche volta...
      – Ebbene?
      – La carrozza arrivò a casa senza di lui. I cavalli si fermarono alla porta della scuderia. Il cocchiere uscì con una lanterna.


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David Copperfield
di Charles Dickens
pagine 1261

   





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