Oh, povero papà mio!» Ma ella non aveva detto di no, e questo per me era l’importante.
Il signor Jorkins, che era stato a Norwood dopo la disgrazia; venne in ufficio pochi giorni dopo.
Egli e Tiffey si chiusero insieme per alcuni momenti, e, poi Tiffey s’affacciò e mi fece cenno di andare.
– Oh! – disse il signor Jorkins. – Io e il signor Tiffey, signor Copperfield, siamo in procinto di esaminare gli scaffali, i cassetti e gli altri ripostigli del defunto, con lo scopo di suggellare le sue carte private e cercare il testamento. Di testamento altrove non v’è traccia. Sarà bene che assistiate anche voi, se non vi dispiace.
Io ero stato in ansia per avere qualche notizia delle condizioni nelle quali la mia Dora si sarebbe trovata, come per esempio riguardo alla tutela e simili provvedimenti legali – ed ecco che qualche cosa avrei saputo. Cominciammo a cercar subito: il signor Jorkins apriva i cassetti e gli scaffali, e noi tutti ne toglievamo le carte. Le carte d’ufficio erano messe da un lato, e le carte private (che non erano numerose) dall’altro. Avevamo l’aspetto grave; e quando c’imbattevamo in un suggello, o in una matita, o in un anello, o in qualche oggettino della stessa specie, d’uso personale del signor Spenlow, abbassavamo la voce.
Parecchi pacchetti erano già stati suggellati; e continuavamo tranquillamente fra la polvere il lavoro, quando il signor Jorkins, applicando al socio defunto le medesime precise parole che quegli aveva applicato a lui, ci disse:
– Era difficile smuovere il signor Spenlow dalla sua strada.
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