Era stata indecisa, lasciando Dover, se dare o no un addio a quella rinuncia dell’umanità in cui era stata educata, e sposare un pilota; ma poi non volle arrischiarvisi. Più perché il pilota non le piaceva, credo, che per devozione al principio.
Benché lasciare la signorina Mills richiedesse uno sforzo, acconsentii ben volentieri al desiderio di mia zia, che mi dava il mezzo di passare qualche ora tranquilla con Agnese. Consultai il buon dottore per sapere se mi permettesse d’assentarmi per tre giorni; e, avendomi egli concesso quel riposo – voleva che ne prolungassi il termine; ma la mia energia vi si oppose – decisi di partire.
Quanto al Commons, non avevo ragione d’esser troppo scrupoloso nei miei doveri da quel lato. A dire la verità, noi non eravamo in odore di santità fra i procuratori di buon nome, e scivolavamo rapidamente verso una condizione equivoca. Gli affari erano stati mediocri col signor Jorkins, prima che gli si fosse associato il signor Spenlow; e benché fossero stati ravvivati dall’infusione di nuovo sangue e dalla pompa e dal lusso del signor Spenlow, non erano ancora sufficientemente stabiliti su una forte base per sopportare senza scossa un colpo come quello dell’improvvisa perdita dell’unico socio attivo. Gli affari diminuirono grandemente. Il signor Jorkins, nonostante la sua reputazione nello studio, era un incapace e un facilone, la cui reputazione al di fuori non era tale da accreditarlo. Io dipendevo da lui ora, e quando lo vedevo annasar tabacco e lasciar andar gli affari a rotoli, rimpiangevo più che mai le mille sterline di mia zia.
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