Ma questo non era il peggio. Formicolava intorno al Commons un gran numero di bighelloni e di faccendieri, i quali, senza essere procuratori, s’impadronivano degli affari e li portavano ai procuratori autentici, dei quali molti, anche fra questi, prestavano il loro nome in cambio di una parte nel bottino. Siccome noi avevamo bisogno a qualunque costo d’affari, ci unimmo a quella nobile banda, gettando l’esca ai bighelloni e ai faccendieri perché ci portassero gli affari che riuscivano a carpire. Ciò che cercavamo specialmente e ciò che rendeva di più erano le licenze di matrimonio e le piccole verifiche testamentarie, intorno alle quali c’era una concorrenza accanita. Rapitori e seduttori erano piantati a tutti gl’ingressi del Commons con la consegna di fermare tutte le persone vestite a lutto e tutte quelle dall’aspetto un po’ timido e di attirarle negli uffici dei rispettivi procuratori; consegna così bene osservata che io stesso, prima d’essere ben conosciuto, fui trascinato due volte nel gabinetto del nostro principale avversario. Il conflitto d’interessi di quei rimorchiatori di clienti a volte irritava i loro sentimenti e finiva con delle zuffe; e il Commons ebbe lo scandaloso spettacolo del nostro principale agente (che prima era stato nel commercio dei vini e poi rigattiere) lasciato in giro per alcuni giorni con un occhio pesto. Nessuna di quelle vedette si faceva il minimo scrupolo, aiutando, per esempio, una vecchia signora in nero a scendere dalla vettura, di ammazzare immediatamente il procuratore di cui ella chiedeva notizia, di spacciare quello che lo impiegava quale il legittimo successore del defunto, e di trascinare in cospetto del procuratore ignoto la vittima dell’inganno, non ancora perfettamente rimessa dal colpo di quella dolorosa notizia.
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