Mi pareva che da tanto tempo non vi fossi più studente, che mi meravigliavo che la città fosse così poco mutata. Strano a dirsi, la dolce influenza di Agnese sul mio spirito, sembrava pervadesse anche la città della sua dimora. Nelle torri venerabili della cattedrale, e nelle vecchie gazze e nelle cornacchie le cui voci aeree le facevano più raccolte dello stesso silenzio; nelle porte in rovina, una volta piene di statue, abbattute e ridotte in polvere come i pellegrini riverenti che le avevano un giorno contemplate; negli angoli cheti, ove l’edera da secoli s’arrampicava fino ai fastigi e sulle mura cadenti; nelle vecchie case, nel paesaggio pastorale dei campi, degli orti e dei giardini; da per ogni dove – in ogni cosa – spirava la stessa aria serena, lo stesso balsamo d’uno spirito calmo e pensoso.
Giunto alla casa del signor Wickfield, trovai, nella piccola stanzetta bassa del pianterreno, una volta di Uriah Heep, il signor Micawber, che faceva stridere la penna con grande energia. Era vestito d’un costume nero di taglio legale, e occupava, grosso e massiccio, tutto lo studiolo.
Il signor Micawber si mostrò estremamente lieto di vedermi, ma anche un po’ impacciato. Mi voleva condurre immediatamente in cospetto di Uriah, ma io rifiutai.
– Conosco da tanto tempo la casa – risposi – e saprò andar di sopra da me. Ebbene, vi piace il diritto, signor Micawber?
– Mio caro Copperfield – egli rispose, – un uomo che ha grandi qualità di fantasia è ostacolato dalla gran somma dei particolari inerenti agli studi legali.
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