Con le sue dolci maniere di sorella; con i suoi occhi radiosi; con la sua tenera voce; e con quella soave compostezza che aveva trasformato in luogo benedetto la casa da lei abitata, ella m’infuse coraggio, e m’indusse a narrarle tutto ciò che era accaduto dopo il nostro ultimo incontro.
– E non ho altro da dirvi, Agnese – dissi, quando le mie confidenze furon terminate – tranne che ora confido in voi.
– Ma non in me dovete confidare, Trotwood – rispose Agnese con un sorriso – ma in qualche altra.
– In Dora? – dissi.
– Ma certo.
– Non v’ho detto, Agnese – dissi, un po’ confuso – che è piuttosto difficile... non vorrei per nulla al mondo dire di non confidare in Dora, perché Dora è l’anima stessa della sincerità e della purità... ma è difficile, non so come esprimerlo, Agnese. Ella è timida, e facilmente si turba e si sgomenta. Qualche momento fa, prima della morte di suo padre, credetti mio dovere di dirle... vi racconterò tutto, se avete pazienza. E allora narrai ad Agnese della mia confessione di povertà, del Libro di cucina, dei conti di casa, e di tutto il resto.
– Oh, Trotwood! – ella riprese, con un sorriso. – La vostra storditaggine antica. Voi avreste potuto seriamente sforzarvi di trarvi dalle difficoltà, senza essere così inconsiderato con una ragazza inesperta, affettuosa e timida. Povera Dora!
Non avevo mai udito una così dolce e indulgente gentilezza espressa con la voce con cui ella mi rispondeva. Era come se la vedessi abbracciare affettuosa e ammirata Dora, e tacita rimproverarmi, con la sua generosa protezione, d’aver inconsideratamente turbato quel cuoricino.
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