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      «Sii umile, Uriah – mi diceva papà – e salirai. È ciò che è stato sempre inculcato a me e a te nella scuola; ed è ciò che riesce meglio. Sii umile – diceva papà – e riuscirai.» E realmente è stato così.
      Era la prima volta che apprendevo che quell’ignobile mostra di falsa umiltà era un tratto speciale della famiglia Heep. Avevo veduto il raccolto, ma non avevo pensato alla semina.
      – Quand’ero ragazzo – disse Uriah – riuscì a capire che significasse l’umiltà, e l’aggrappai stretta. Mangiavo il mio umile piatto con buon appetito. Mi fermai sull’umile gradino della mia istruzione, dicendomi: «Tienti saldo». Quando mi offriste d’insegnarmi il latino, io non fui così bestia da accettare. «Alla gente piace di sentirsi al di sopra di te – diceva papà – lascia fare». Io in questo momento sono umilissimo, signorino Copperfield, ma un po’ di potere l’ho conquistato.
      Ed egli diceva questo – lo comprendevo guardandolo in faccia al chiaror della luna – perché sapessi ch’era determinato ad avvalersi di quel potere. Non avevo mai dubitato della sua bassezza, della sua astuzia e della sua malizia; ma comprendevo pienamente allora, per la prima volta, qual ignobile, inflessibile e vendicativo spirito fosse stato generato da quella prima e lunga costrizione della sua giovinezza.
      Quel racconto su se stesso fu intanto seguito da un soddisfacente risultato, perché egli ritirò la mano da me per darsi un’altra stropicciatina al mento. Una volta separato da lui, decisi di rimaner separato, e facemmo la passeggiata del ritorno, l’uno accanto all’altro, non scambiando più che poche parole.


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David Copperfield
di Charles Dickens
pagine 1261

   





Uriah Heep Uriah Copperfield