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      Se il suo spirito si fosse alleggerito alla mia comunicazione o al racconto del suo passato, non saprei dire; ma qualche cosa certo l’aveva rallegrato. A desinare egli parlò più del solito; chiese a sua madre (scaricata al primo nostro ingresso in casa dal dovere di montar la guardia) s’egli non fosse già troppo vecchio per rimanere ancora scapolo; e una volta diede ad Agnese un’occhiata così fatta, che avrei dato tutto quanto avevo per il permesso di accopparlo.
      Rimasti noi tre uomini soli, dopo il desinare, Uriah si slanciò ancor più. Aveva bevuto poco o nulla; e credo che l’avesse invaso la semplice insolenza del trionfo, animato forse dalla tentazione che la mia presenza gli offriva per farne pompa.
      Avevo osservato la sera innanzi, che egli aveva cercato di far bere il signor Wickfield; e interpretando lo sguardo che Agnese mi aveva dato uscendo, m’ero limitato a un bicchiere, proponendomi poi di raggiungerla. Ero sul punto di fare lo stesso, quando Uriah mi precedette.
      – Noi di rado abbiamo il piacere di avere con noi l’ospite odierno, signore – egli disse, volgendosi al signor Wickfield, che sedeva al l’estremità della tavola, formando un vero contrasto con lui – e io proporrei di dargli il benvenuto bevendo uno o due bicchieri in suo onore, se non vi dispiace. Signor Copperfield, alla vostra salute e alla vostra felicità.
      Fui obbligato a fingere d’accettar la mano che egli mi porgeva a traverso la tavola; e poi, con diverso sentimento, presi la mano del disfatto gentiluomo, suo socio.


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David Copperfield
di Charles Dickens
pagine 1261

   





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