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Il Cielo mi risparmi di udir di nuovo un grido come quello con cui il signor Wickfield si levò in piedi!
– Che cosa è mai? – disse Uriah, diventando mortalmente pallido. – Spero che non siate diventato matto, signor Wickfield. Se dico che ho l’ambizione di far mia la vostra Agnese, ho lo stesso diritto di qualunque altro. Ho un diritto maggiore, anzi, di un altro.
Gettai le braccia intorno al signor Wickfield, scongiurandolo per tutto ciò che aveva di più caro, di calmarsi un poco, ma specialmente per il bene che voleva ad Agnese. Egli era fuor di sé: si strappava i capelli, si batteva la testa, tentando di respingermi e di liberarsi da me, non rispondendo una parola, non guardando e non vedendo nessuno, senza sapere, nella sua cieca disperazione, ciò che volesse col viso fisso e sconvolto... Un terribile spettacolo.
Lo scongiurai, incoerentemente, ma coi più amorevoli modi, di non abbandonarsi al suo furore, e di ascoltarmi. Lo supplicai di pensare ad Agnese, di pensare ad Agnese e a me; di ricordare come Agnese e io fossimo cresciuti insieme, come io la onorassi e le volessi bene, come ella fosse il suo orgoglio e la sua gioia. Tentai di rappresentargli questa idea in qualche maniera; gli rimproverai anche di non aver tanta fermezza da risparmiarle la conoscenza d’una scena simile. Non so se le mie parole avessero qualche effetto, o se quel furore svanisse da sé; ma gradatamente egli lottò con minore violenza, e cominciò a guardarmi... sulle prime in modo strano, poi con coscienza.
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