Quella sera si sentì tanto sconvolta di spirito che stimò necessario aprire la porta della camera da letto e farvi un ippodromo che comprendesse le due camere da un muro all’altro; e mentre io e il signor Dick ce ne stavamo cheti accanto al fuoco, ella continuava a fare su e giù la stessa rotta, a passo invariabile, con la regolarità d’un pendolo.
Quando il signor Dick se ne fu uscito per andare a letto, e io rimasi solo con mia zia, mi misi a trascriver la lettera preparata per le due zitellone. Allora ella si sentì stanca di camminare, e si sedette accanto al fuoco con la gonna rimboccata secondo il solito. Ma invece di stare, come era sua abitudine, col bicchiere sul ginocchio, tollerò che esso rimanesse abbandonato sulla mensoletta del caminetto; e intanto, tenendo il gomito sinistro sul braccio destro e il mento nella mano sinistra, mi fissava pensosa. Tutte le volte che levavo gli occhi dalla carta, incontravo i suoi. «Io sono nella più tenera disposizione, mio caro – ella m’assicurava con un cenno – ma sono agitata e triste».
Ero stato troppo affaccendato per osservare, prima che ella fosse andata a letto, che aveva lasciato sul caminetto, senza neanche toccarla, la sua pozione serale, come la chiamava. Venne alla porta con maggior tenerezza del solito, quando picchiai per parteciparle la mia scoperta, ma mi disse soltanto: «Stasera non ho voglia di prenderla, Trot», e scotendo il capo, si ritirò.
La mattina dopo lesse la mia lettera alle due zie di Dora e l’approvò. Io la impostai, e allora non ebbi altro da fare che aspettare, più pazientemente che potessi, la risposta.
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Dick Dick Trot Dora
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