Era Marta, alla quale Emilia aveva dato del denaro quella sera nella cucina; Marta Endell, con la quale il pescatore Peggotty non avrebbe mai voluto vedere la sua cara nipote, neppure per tutti i tesori sepolti in mare, come mi aveva detto tante volte Cam.
Ci stringemmo affettuosamente la mano. Per qualche istante, nessuno di noi due poté dire una parola.
– Signorino Davy – egli disse, tenendomi stretto, – mi fa bene al cuore vedervi. Ben rivisto, ben rivisto!
– Ben rivisto, mio vecchio amico! – gli dissi.
– Avevo pensato di venire a trovarvi stasera, signore – egli disse – ma sapendo che vostra zia abitava con voi... perché sono stato laggiù sulla strada di Yarmouth... temevo che fosse troppo tardi. Sarei venuto domani mattina presto, signore, prima d’andar via.
– Andate via di nuovo? – dissi.
– Sì, signore – rispose, scotendo pazientemente il capo – vado via domani.
– E dove volete andare? Chiesi.
– Ah! – rispose, scotendosi la neve dai lunghi capelli. – Andrò a fare un giro in qualche parte.
In quei giorni v’era un ingresso laterale nel cortile del Golden Cross, l’albergo così strettamente legato nel mio spirito alla disgrazia del mio povero amico, quasi di fronte al punto dove noi eravamo fermati. Gl’indicai l’atrio, gli presi il braccio sotto il mio ed entrammo. Due o tre sale dell’albergo s’aprivano sul cortile; affacciandomi in una, e vedendola vuota e riscaldata da un bel fuoco, me lo trassi dentro.
Quando lo vidi alla luce, osservai non solo che aveva i capelli lunghi e in disordine, ma che aveva il viso arso dal sole.
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