V’era dentro, in un foglio a parte indirizzato a me, un biglietto di cinquanta sterline. Era stata deposta di notte sotto la porta. Ella aveva cercato di contraffare la sua scrittura, ma a me non poteva nasconderla.
Piegò di nuovo il biglietto, con gran cura e pazienza, nella sua forma primitiva, e lo mise da parte.
– Questa lettera è diretta alla signora Gummidge – disse aprendone un’altra – ed è arrivata due o tre mesi fa. – Dopo averla guardata per qualche momento, me la diede, e aggiunse piano: – Fatemi il piacere di leggerla, signore.
Lessi come segue:
«Oh, che penserete quando vedrete questo scritto, e saprete che vien dalla mia mano colpevole? Ma provate, provate – non per amor mio, ma per amore di mio zio – ad addolcire il vostro cuore verso di me, solo per un momento.
«Provatevi, vi prego, ad avere pietà d’una povera disgraziata, e scrivetemi su un pezzo di carta se egli sta bene, e che cosa disse di me, prima che rinunciaste a nominarmi più fra voi; – e se mai la sera, all’ora in cui io ero solita di tornare a casa, egli mostri di pensare ancora a quella che amava tanto. Oh, il mio cuore sanguina quando penso a tutto questo! M’inginocchio innanzi a voi, pregandovi e scongiurandovi di non mostrarvi con me crudele come mi merito... so bene che me lo merito... e di essere così buona e pietosa da scrivermi qualche parola di lui, e di spedirmela. Non mi chiamate più «Piccina mia», non mi chiamate col nome che io ho disonorato; ma abbiate pietà della mia angoscia, e fatemi la grazia di scrivermi qualche cosa di mio zio, che non rivedrò mai più in questo mondo!
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Gummidge Fatemi
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