Ubbidii tremando, e fui condotto in un’altra stanza. Ivi, dietro la porta, col viso contro il muro, trovai la mia diletta che si chiudeva le orecchie; e Jip nello scaldavivande con la testa fasciata in un tovagliuolo.
Oh. com’era bella nelle sue gramaglie, e come sospirò e pianse in principio, rifiutandosi di uscire dal suo cantuccio. E quando finalmente ne uscì, come fummo felici entrambi, e in che estasi fui quando Jip, cavato dallo scaldavivande e restituito alla luce, si mise a sternutare disperatamente, e fummo tutti e tre felici!
– Mia dilettissima Dora! Ora veramente mia per sempre.
– Oh, lasciami – implorò Dora – per carità!
– Non sei mia per sempre, Dora?
– Sì, certamente, ma ho tanta paura. – Paura di che, mia cara?
– Sì, paura! Non mi piace... – disse Dora. – Perché non se ne va?
– Chi, vita mia?
– Il tuo amico – disse Dora. – Che c’entra lui? Che stupido che dev’essere!
– Amor mio! – (Non v’era nulla di più vezzoso dei suoi modi infantili.) – È un giovane d’oro.
– Ma noi non abbiamo bisogno di giovani d’oro! – ella disse, facendo un po’ il broncio.
– Oh, cara! – ripresi. – Imparerai a conoscerlo e gli vorrai molto bene. E ti verrà presto a trovare mia zia, e le vorrai molto bene, quando la conoscerai.
– No, per carità, non farla venire – disse Dora dandomi un piccolo bacio inorridita, e giungendo le mani. – Non farla venire. So che è una brutta vecchia scontenta. Non farla venire qui, Doady! – il che era un vezzeggiativo di Davide.
Era inutile far delle rimostranze, allora; così risi, e l’ammirai, innamoratissimo e felicissimo; ed ella mi mostrò il nuovo gioco appreso da Jip, che stava ritto in un angolo sulle gambe posteriori – cosa ch’esso dimostrò di saper fare soltanto per la durata d’un lampo, ricadendo subito sul pavimento – e non so quanto tempo sarei rimasto lì, dimentico di Traddles, se non fosse entrata la signorina Lavinia a condurmi via.
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Jip Jip Dora Dora Dora Paura Dora Dora Imparerai Dora Doady Davide Jip Traddles Lavinia
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