Mia zia, con la quale ella gradatamente si era fatta familiare, la chiamava sempre il suo fiorellino; e il piacere della vita della signorina Lavinia era di passare il tempo a vezzeggiarla, arricciarle i capelli, ornarla, e trattarla come una bambina viziata. Ciò che faceva la signorina Lavinia, veniva per naturale conseguenza imitato dalla sorella. Mi sembrava strano; ma tutti trattavano Dora quasi nel modo com’ella trattava Jip.
Risolsi di parlarne a Dora; e un giorno che eravamo usciti a passeggio (perché ci era stato concesso dalla signorina Lavinia, dopo un po’, d’uscire a spasso soli), le dissi che avrei desiderato ch’ella si facesse trattare diversamente.
– Perché sai, cara – soggiunsi, – oramai non sei più una bambina.
– Ecco! – disse Dora. – Ora cominci a brontolare.
– A brontolare, amor mio?
– Son trattata con tanta amorevolezza che io sono felicissima – disse Dora.
– Ma, dilettissima mia – dissi – saresti felicissima anche se tu fossi trattata ragionevolmente.
Dora mi diede uno sguardo di rimprovero – che incantevole sguardo! – e poi si mise a singhiozzare, dicendo che se io non le volevo bene, perché avevo tanto desiderato d’esser suo fidanzato? E perché non me n’andavo subito, se non potevo sopportarla?
Che potevo fare, se non asciugarle le lagrime coi baci, e ripeterle che l’adoravo?
– Io so d’ essere affettuosissima – disse Dora: – tu non dovresti essere crudele con me, Doady.
– Crudele, amor mio! Come se volessi... o potessi... esser crudele con te!
– Allora, non mi trovare dei difetti – disse Dora, atteggiando la bocca come a un bocciuolo di rosa – e sarò savia.
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